Thomas Andrews, era nato a Comber,
Irlanda del Nord, il 7 febbraio 1873, da Thomas Andrews e Eliza Pirrie:
fu dunque il nipote di Lord Pirrie, principale azionista e presidente dei
Cantieri Harland & Wolff di Belfast, ditta costruttrice del TITANIC.
A 11 anni entrò all'Accademia Reale di Belfast; lasciò la scuola cinque
anni più tardi per entrare, come apprendista, nei Cantieri Harland & Wolff. Percorrendo tutti i gradini dell'azienda, grazie alle sue competenze
ed al suo impegno nel lavoro, diventò Direttore Generale, sezione progetti.
Capo dell'ufficio progettisti, conobbe tutti i dettagli della costruzione
delle navi. Nel 1901, all'età di 28 anni, diventò membro dell'Istituto degli
Architetti Navale; nel 1908, sposò Helen Reilly Barbour dalla quale ebbe
una figlia, Elizabeth, nata due anni più tardi. Thomas Andrews partecipò
alle traversate inaugurali dell'Adriatic, dell'Oceanic
e dell'Olympic, per osservare di persona come si svolgeva la navigazione e
suggerirne dei miglioramenti sulle future navi. Per una missione identica,
prese così la testa del Gruppo di Garanzia a bordo del TITANIC.
A Southampton, durante i giorni che precedettero la partenza, Thomas Andrews dedicò tutto il suo tempo a fare del
TITANIC una nave ineccepibile. Mise a posto diverse cose come
scaffali, tavoli, sedie, scale delle cuccette, ventilatori elettrici e affermò
che non sarebbe stato soddisfatto finché tutto non fosse stato in perfetto
ordine. Il 10 aprile 1912, alle 6:00 della mattina, fu il primo ad imbarcarsi
sul TITANIC, dove occupò la cabina A36, a sinistra, sul ponte
A: la sua cabina venne aggiunta durante le modifiche dell'ultimo
momento intervenute prima della partenza; la sua posizione centrale, vicino alle
entrate ed ai corridoi, permise, inoltre, di accedere facilmente a tutte le
parti della nave. Durante la traversata, passò la maggior parte del suo
tempo ad inseguire il suo instancabile compito, a prendere delle note ed ad
assistere l'equipaggio di fronte alle piccole difficoltà incontrate su una nave
tutta nuova. Thomas Andrews era sempre occupato a fare il giro della nave, interrogando
i meccanici, i funzionari, i direttori, i rappresentanti, i subappaltatori,
sorvegliando anche i lavori di completamento. Pochi dettagli sfuggirono alla sua
attenzione e registrò tutte le sue osservazioni nelle note e nelle lettere. Si
preoccupò anche del cattivo funzionamento di un fornello nella cucina del
ristorante. Fu d'accordo con gli armatori sul fatto che la tinta dell'intonaco
della passeggiata privata era troppo delicata, ed approvò un piano stabilito per
tinteggiare in verde dei mobili in vimini su uno dei lati della nave. Notò che
occorreva, per il futuro, ridurre il numero delle viti sugli attaccapanni delle
cabine. Infine, aveva previsto di progettare due sale supplementari da adibire alle
signore per il disimpegno dopo la cena. La sera del 14 aprile 1912, Thomas
Andrews cenò, come sua abitudine, in compagnia del dottor
William Francis Norman O'Loughlin, il
medico di bordo. Si ritirò poi nella sua cabina dove trascorse la serata, prono
sui piani della nave ed annotando tutte le modifiche possibili. Era talmente
assorbito dal suo compito che non si accorse né della collisione né dell'arresto
della nave. Bussarono alla sua porta e gli si chiese di recarsi
immediatamente sul ponte di comando; al suo arrivo precipitoso, il Capitano
Edward John Smith lo informò dell'incidente e gli chiese di accompagnarlo per
fare una visita di controllo della nave. Percorrendo le corsie riservate
all'equipaggio per evitare di disturbare i passeggeri, i due uomini scesero ad
ispezionare la parte davanti della nave. Visitarono la sala dell'ufficio postale
inondata così come il campo di squash (locali che si stavano riempiendo
velocemente di acqua). Dieci minuti più tardi, furono di ritorno sul ponte di
comando e discussero brevemente dei danni osservati: la nave era perduta! Il Capitano
Edward John Smith ebbe un istante di esitazione prima di porre l'inevitabile
domanda: "Quanto tempo abbiamo?". Thomas Andrews annotò alcune cifre su un pezzo di
carta prima di rispondere: "Un'ora e mezza, forse due, non oltre" Fu la
sentenza. Durante gli ultimi momenti, lo si vide misurare i ponti, esortare
i passeggeri ad indossare il loro giubbotto di salvataggio e di dirigersi verso
le scialuppe.
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